Poeti e romanzieri russi in Italia

Poeti e romanzieri russi in Italia

Quella Russia che in Italia vedevano ancora come chiusa, aveva iniziato ad aprirsi all’Europa con Pietro Il Grande che, con un editto del 1696, aveva invitato i figli delle famiglie agiate del suo impero a recarsi in Occidente per i propri studi.

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E la penisola italiana divenne presto meta privilegiata: di viaggi fugaci – come quelli di Anton Cechov che si recò «nel paese delle meraviglie» per tre volte e sempre facendo tappa nella «città bella» di Venezia – e di lunghi soggiorni, come per il socialista Maksim Gorkij

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Anton Cechov e Maksim Gorkij

o per il realista Nikolaj Gogol, secondo cui

«tutta l’Europa è fatta per essere visitata, ma l’Italia è fatta per viverci!» e «chi vi è stato può dire addio agli altri Paesi» perché «chi è stato in cielo non avrà mai voglia di tornare sulla terra».

Fu meta prediletta soprattutto per via del clima e della cultura. In fuga dai loro ostici inverni, in Italia gli scrittori russi andavano a rifugiarsi sotto «la volta del cielo tutta azzurra» che giovava alla loro salute, che alcuni avevano funestata da tubercolosi o altri malanni. E, come il sole, anche la storia e l’arte erano ovunque. Antichità «a ogni piè sospinto», piazze «tutte ricoperte da rovine», pinacoteche «dove ci sarebbe da vedere per un anno intero», strade con una «scuola di pittori e scultori quasi a ogni porta» e tante chiese come «in nessuna altra città al mondo».

Purtroppo, un fascino altrettanto intenso non provocava in Italia la Russia, vista come geograficamente e politicamente distante. Baluardo della Santa Alleanza, l’impero dello zar era considerato emblema della Reazione e in Italia si covava la convinzione che in un ambiente di arretratezza politica non potesse che esserci grettezza culturale. Pertanto, nemmeno la straordinaria produzione letteraria russa dell’epoca destava granché interesse.

Sebbene la letteratura russa stesse vivendo il suo momento storico più rilevante, nelle riviste letterarie e culturali della prima metà dell’Ottocento se ne trovavano solo sporadici riferimenti. A quest’indifferenza e ignoranza facevano eccezione le oasi di curiosità coltivate da alcuni salotti letterari, come quello della famiglia Demidov di Firenze e della principessa Volkonskaja. Solo nella seconda metà del secolo cominciarono a circolare opere di Dostoevskij e Tolstoj ma per mediazione di Parigi a riprova del provincialismo intellettuale dell’epoca.

La contrapposizione tra la negligenza dell’intelligencia italiana verso la cultura russa e la familiarità di scrittori d’epoca zarista con la cultura italiana provocò surreali cortocircuiti. Ad esempio, fu nel Belpaese che Gogol produsse la prima parte di Le anime morte e fu all’opera dantesca che s’ispirò progettando di inserire il poema in una trilogia. Eppure l’Italia si fece passare davanti agli occhi la nascita di quel capolavoro.

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